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BIODIESEL DAI VEGETALI!

BIODIESEL

Il biodiesel è un carburante ottenuto da fonti rinnovabili quali oli vegetali e grassi animali, analogo al gasolio derivato dal petrolio.

Un campione di biodiesel

 

Un campione di biodiesel

 

Il Biodiesel puro (BD100 o B100) può essere utilizzato in qualsiasi motore Diesel, anche se viene più comunemente utilizzato in basse concentrazioni. In alcune zone è richiesto l'uso di diesel a bassissimo contenuto di zolfo, che riduce la naturale viscosità e lubrificazione del carburante poiché sono stati rimossi lo zolfo e certe altre sostanze. Per far sì che scorra propriamente nei motori sono richiesti degli additivi, e il biodiesel è una popolare alternativa. Concentrazioni fino al 2% (BD2 o B2) si sono mostrate in grado di restituire la lubrificazione. Inoltre, molte municipalità hanno iniziato ad usare il biodiesel al 5% (BD5 o B5) nei mezzi per la rimozione della neve e in altri sistemi. Usato come additivo al gasolio, ne migliora il potere lubrificante.

Storia:La transesterificazione dell'olio vegetale era stata condotta già nel 1853, dagli scienziati E. Duffy e J. Patrick, molti anni prima che il primo motore Diesel diventasse funzionale.

Il primo modello di Rudolf Diesel, un singolo cilindro in ferro di 3 metri con un volano alla base, funzionò per la prima volta ad Augusta (Germania) il 10 agosto 1893. In ricordo di questo evento, il 10 agosto è stato dichiarato Giornata Internazionale del Biodiesel. Diesel successivamente presentò il suo motore all'Esposizione Mondiale di Parigi del 1898. Questo motore rimase come esempio della visione di Diesel, poiché era alimentato da olio di arachidi  un biocarburante, anche se non strettamente biodiesel, in quanto non era transesterificato. Diesel credeva che l'utilizzo di un carburante ottenuto dalla biomassa fosse il vero futuro del suo motore. In un discorso del 1912 disse: "l'uso di oli vegetali per il carburante dei motori può sembrare insignificante oggi, ma tali oli possono diventare, nel corso del tempo, importanti quanto i derivati dal petrolio e dal carbone dei nostri giorni".

Nel corso degli anni '20, i produttori di motori diesel modificarono i loro propulsori per sfruttare la minore viscosità del carburante fossile (petrodiesel) a scapito dell'olio vegetale, un carburante di biomassa. Le industrie petrolifere furono in grado di far breccia nel mercato dei carburanti perché il loro prodotto era più economico da produrre rispetto alle alternative naturali. Il risultato fu, per molti anni, la quasi completa eliminazione dell'infrastruttura di produzione del carburante naturale: cioà gli olii vegetali grezzi. Solo recentemente le preoccupazioni circa l'impatto ambientale e una differenza di costo in diminuzione hanno reso i carburanti vegetali naturali come il biodiesel un'alternativa sempre più valida.


COME PRODURRE IL BIODIESEL IN CASA: SI TRATTA DI UNA PROVOCAZIONE!!!

L’attrezzatura necessaria è composta da: un fornelletto elettrico, una bilancetta da cucina precisa al grammo, una vecchia pentola in disuso della capienza di circa 3 litri e un agitatore (realizzato con un trapano elettrico fissato su una colonnina, con un perno e una rondella saldata per smuovere il liquido). Per evitare inutili sprechi è consigliabile provare con un litro alla volta.
Ecco come procedere: Mescolare circa 275 cc di alcool etilico (CH3-CH2-OH) (si compra al supermercato) con 7 g di soda caustica (NaOH) fino a completa dissoluzione (in questo modo si ottiene l’etossido). A parte, mettere a scaldare la pentola con un litro di olio di semi e, raggiunti i 50 °C, aggiungere l’etossido.
Subito dopo la miscela si intorpidisce, diventando di colore scuro. A questo punto si inserisce nel liquido l’agitatore (realizzato con il trapano). Dopo un’ora, si spengono fornelletto e agitatore. A questo punto la miscela comincia a separarsi in due fasi, sul fondo si deposita la glicerina  densa e scura, in alto l’estere (il biodiesel), più chiaro e liquido.
Si lascia riposare qualche ora per la completa separazione e poi si prosegue. La cosa migliore è poter utilizzare un recipiente con un rubinetto sul fondo, in modo da fare defluire prima la glicerina e dopo l’estere.
Ci siamo quasi. L’ultima operazione da eseguire è il lavaggio del biodiesel. L’importante è essere precisi e attenti nelle varie fasi, o si rischia di ottenere degli insuccessi, reazioni che non avvengono, o si fermano a metà.
Tenete presente che usando alcool etilico, invece del metanolo, tutta l’operazione è più impegnativa, sia in termini economici, che in termini di cura dei particolari e tempo necessario, per contro vi ripaga con una minore probabilità di successo (è proprio un ingrato!). L’unico vantaggio è la minore tossicità.
L’importanza del lavaggio: Il lavaggio del biodiesel potrebbe sembrare superflua, ma è essenziale per eliminare tutti i residui poco raccomandabili per la salute del motore. Ci sono diversi modi per effettuare il lavaggio, ecco uno dei più semplici. E’ sufficiente una botticella di plastica da 50 litri con un rubinetto in fondo, una pompetta da acquario per soffiare aria, e relativa tubazione ed erogatore.
Ho messo il biodiesel da lavare nella botticella (30 litri per volta) e ho aggiunto 10 litri d’acqua. A questo punto ho lasciato gorgogliare l’aria nell’acqua (che, essendo più pesante, si deposita in fondo) in modo da creare una corrente continua tra acqua tirata su dall’aria e biodiesel. L’acqua si lega ai residui disciolti nel biodiesel e li trascina con sé in basso. Lasciare decantare l’acqua (che diventava biancastra) per circa 8 ore e farla defluire a sedimentazione completata. Ripetere il trattamento 3 volte, finché l’acqua non rimane pulita. Quindi si apre il rubinetto e si lascia defluire tutta l’acqua, quello che rimane è il biodisel pronto all’uso!

TUTTO QUESTO E’ INUTILE! ESISTONO MOTORI DIESEL PROGETTATI PER FUNZIONARE PERFETTAMENTE CON OLII VEGETALI GREZZI, SOLAMENTE FILTRATI!

Ludwig Elsbett

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Ludwig Elsbett (Salz (Baviera), 8 novembre 1913 – 28 marzo 2003) è stato un inventore tedesco, la cui più grande invenzione è stata il motore diesel Elsbett per Olio vegetale.

Elsbett era uno dei nove figli del coltivatore Viktor Elsbett, e di sua moglie Maria, crebbe nel mondo agricolo. Più tardi, frequentò le scuole tecniche in Bad-Frankenhausen e Neustrelitz dove studiò Ingegneria meccanica e Costruzioni aeronautiche, diventando ingegnere.

Nel 1937 fu nominato direttore di reparto presso la Junkers GmbH in Dessau dove sviluppò motori a combustione. Nel 1940 si sposò con Lieselotte, ed ebbe cinque bambini. Divenne una leggenda vivente della tecnologia e giocò una parte decisiva nell’ulteriore sviluppo della tecnologia del Motore Diesel . Dopo la guerra, Elsbett fondò una fabbrica indipendente, la Salzgitter, per la produzione di un Motore di Diesel a due tempi.

Nel 1973 Elsbett ottiene un riconoscimento internazionale per il primo motore Diesel ad iniezione diretta per automobili.

Nel 1977 Elsbett iniziò la produzione di un motore alimentato ad olio vegetale chiamato Motore Elsbett.

Nel 1980 Elsbett ottenne la prima conversione di un motore Diesel standard ad alimentazione con olio vegetale dotandolo di pre-camera.

Nel 1993 il primo Eco-tour europeo fu vinto dall’automobile Elsbett Mercedes dotata del motore Elsbett col consumo più basso fra tutte le auto partecipanti.

Nel 1997 Elsbett vinse il Premio Solare Europeo.

Nel 2002 Elsbett convertì ad alimentazione con olio vegetale il motore Common-Rail standard.

Nella città di Salz (Baviera) è stato realizzato il Museo Elsbett.

Molto sinteticamente i principali concetti messi in pratica con il motore ELSBETT sono i seguenti:

Il motore funziona senza inconvenienti, con ottimo rendimento termodinamico, indifferentemente con gasolio e con oli vegetali grezzi.

Maggiori informazioni su questo tipo di tecnologia possono essere reperite direttamente nel sito del produttore: www.elsbett.com

E PER IL LUBRIFICANTE?, I MOTORI PER FUNZIONARE, HANNO BISOGNO ANCHE DEL LUBRIFICANTE!

SI INTERVIENE CON L’OLIO DI RICINO, E’ MEGLIO, MOLTO MEGLIO DELL’OLIO MINERALE!

RICINUS COMMUNIS

Pianta di ricino dalla quale si ricava il celebre olio Pianta di ricino dalla quale si ricava il celebre olioPianta di ricino dalla quale si ricava il celebre olioFrutti del RicinoFrutti del RicinoSemi di Ricino    

Origine:È originario dell'Africa tropicale, si è sparsa un po' dovunque nel mondo, dove il clima lo permetteva. Lo si ritrova in zone subtropicali, ma anche in zone con clima temperato. Il Ricino è una pianta di origine tropicale (Africa e Asia), il cui addomesticamento risale al VI millennio a.C. nell'Asia sud-occidentale. E' stata introdotta in Europa prima dell'Impero romano. Oggi è coltivata in tutto il mondo (in particolare Asia e America del Sud) per il suo elevato contenuto in olio che viene utilizzato in farmacia e in varie applicazioni industriali.

Descrizione: Il ricino si presenta sotto forma di una pianta erbacea o arborescente, annua o perenne secondo le condizioni climatiche della regione. Ha un’ altezza media di 2-3 metri (fino a raggiungere i 10 metri nel suo paese di origine).

Composizione:la totalità della pianta è tossica  causa della presenza di una glicoproteina: la ricina che ha la massima concentrazione nei semi che, nello spermoderma, contengono un alcaloide molto tossico, la ricinina che è un etere metilico dell'acido ricinico. L’olio di ricino contiene l'acido ricinoleico che altera la mucosa intestinale e provoca grosse perdite di acqua e sali minerali per cui svolge un’azione purgativa intensa ed irritante.

I semi di Ricino contengono tra il 40% e il 60% di olio ricco di trigliceridi, principalmente di ricinoleina. Il nome generico Ricinus in latino significa "zecca"; il seme è chiamato così a causa del suo aspetto.

Note storiche: Semi di Ricino sono stati trovati nell’antico Egitto in tombe risalenti al 4000 a.C.. Erodoto ed altri antichi viaggiatori hanno annotato l’uso di olio di ricino per le lampade e per ungere il corpo. Anche in India l’uso dell’olio di ricino risale al 2000 a.C.

 

L’OLIO DI RICINO: Per la sua viscosità costante, il basso punto di congelamento e l'assenza di residui, trova vasto impiego nella lubrificazione dei motori ad alta frequenza e a forte compressione. Inoltre rispetto agli olii minerali, presenta un maggiore potere lubrificante e un maggiore punto di infiammabilità. Molti sono gli usi industriali (preparazione di grassi, nella concia del cuoio, sapone da toilette, pomate, nell'industria della ceralacca e delle vernici, ecc.).
I panelli di ricino sono usati come concimi organici ad elevato contenuto di azoto. La ricinina, insolubile nell'olio di ricino,essendo presente nei pannelli,li rende tossici ed inadatti come mangime.

È un ottimo lubrificante, poco infiammabile, non secca all'aria. Ha inoltre una composizione particolare in quanto mantiene lo stesso livello di fluidità indistintamente a temperature molto basse o molto alte.

Grazie a questa proprietà viene usato nei motori spinti e ad elevato numero di giri come nelle gare di rally ed in motori per aeromodelli. Inoltre l'olio di ricino viene utilizzato per la lubrificazione nella meccanica in particolare nelle miscele per i carburanti in Formula Uno o anche nel modellismo. L'alto potere lubrificante del principio attivo contenuto nell'olio di ricino, che è determinato secondo la sua acidità, e la percentuale di acido ricinoleico contenuto fanno si che diventi un ottimo lubrificante in condizioni estreme.



ECCO UN PIANTA CHE PUO’ DARE UN’OTTIMO OLIO PER MOTORI DIESEL!

Jatropha curcas

    File:Jatropha curcas5 henning.jpg

attrezzo per produrre l'olio di Jatropha

La Jatropha curcas o Jatropa curcas è una pianta tropicale che riesce a crescere in terreni semi-aridi e in presenza di scarse precipitazioni (600 mm/anno) ma con temperature superiori a 14 °C. Le sue caratteristiche la rendono spesso impiegata in progetti di lotta alla desertificazione e all'erosione. I frutti della Jatropha non sono commestibili per l'uomo e per gli animali si tratta di una pianta velenosa: per questo nei villaggi la pianta è spesso coltivata intorno ai campi come siepi di difesa per proteggere le colture dagli animali. La resa in frutti della Jatropha è fortemente variabile. Si va da meno di 100 kg per ettaro fino a 10 tonnellate. Il motivo di questa forte variazione è in parte dovuto al carattere ancora selvatico della pianta, la quale non è mai stata nel passato oggetto di pratiche di miglioramento o stabilizzazione della resa, dal terreno su cui è coltivata e dal clima.

I semi ottenuti dal frutto sgusciato contengono un olio (intorno al 35% in peso) dalle caratteristiche tali da poter essere impiegato in generatori diesel piuttosto grezzi, ad esempio i LISTER, oppure gli Elsbett tedeschi menzionati più sopra, anche solamente dopo un processo di filtraggio, oppure come olio per l'illuminazione nelle lampade al posto del petrolio, dato che non emette fumi.

Un altro utilizzo è la produzione di GAS METANO, FERTILIZZANTI e di SAPONE che può essere venduto ed essere fonte di denaro per alleviare le difficoltà della popolazione locale. Le emissioni sono a basso contenuto di CO2 e zero anidride solforosa. Il settore dei biocarburanti continua a far registrare tassi di crescita a due cifre ed è sempre più al centro degli accordi geopolitici internazionali. In India la Commissione Nazionale ha deciso di promuovere fortemente l'impiego dei biocarburanti a livello nazionale puntando decisamente sulla Jatropha. Anche alcune ONG italiane stanno valutando la possibilità di implementare a livello di villaggio un microsistema energetico basato sullo sfruttamento di questa coltura. Nonostante tra le colture energetiche la Jatropha non si posizioni in assoluto tra le migliori (la palma è nettamente superiore), la possibilità di non entrare in competizione nei terreni più fertili con le colture destinate all'alimentazione, la rende senz'altro una coltura molto promettente nel panorama dei biocarburanti. L'India si è impegnata a destinare 11 milioni di ettari alla produzione di combustibile da Jatropha entro il 2012, seguita da Argentina e Madagascar.

Una centrale a biocarburante ad olio di Jatropha è in fase di realizzazione presso il porto di Oristano, in Sardegna e si prevede anche la coltivazione sul luogo della pianta di Jatropha, in territori a rischio di desertificazione, vista l' adattabilità di questo vegetale a suoli semi-aridi e soggetti a scarse precipitazioni.

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